L'opposizione è divisa e soffocata da censura e spionaggio, la maggior parte della popolazione vive sotto la soglia di povertà e fiorisce l'industria dell'immigrazione clandestina.
Secondo le stime delle Nazioni Unite ogni mese scappano migliaia di persone dal piccolo stato del Corno d'Africa.
Ad Asmara nessuno osa parlare del governo e del presidente Isaias Afewerki, al potere da 20 anni.
Non si trova un giornale indipendente o un qualunque spazio in cui si possa discutere di politica.
Per le strade assolate della capitale non si incontrano manifestazioni o cortei. Al minimo tentativo di protesta si rischia la carcerazione immediata, senza possibilità di difesa. I detenuti sono portati nelle aree più remote, in prigioni spesso sotterranee o nei container infuocati dal sole. Alle torture sistematiche si aggiungono la privazione di acqua e di cibo.
Chi conosce la national security eritrea spiega come ogni straniero, anche se entrato con il visto turistico, sia guardato a vista. Basta fare domande sul governo oppure girare con una macchina fotografica per essere seguiti e controllati. I tassisti spesso mi hanno pregato di non fare foto o riprese dal finestrino, per paura di ritorsioni.
Un sistema di repressione silenzioso che si basa sul servizio militare obbligatorio, per uomini e donne dai 17 anni in poi, e che ha trasformato un popolo intero in un grande apparato di sorveglianza, in cui tutti sono potenziali spie.
la Commissione d’Inchiesta del Consiglio sui Diritti Umani dell’ONU che dopo aver intervistato centinaia di rifugiati, ha accusato l’Eritrea di gravi crimini contro l’umanità: servizio militare permanente, dure incarcerazioni, persecuzioni politiche per i renitenti alla leva e un regime militare al potere da 20 anni.
Quello che non dice è che la gran parte dei cittadini eritrei impiegati dallo Stato non guadagna più di 500 Nakfa al mese, circa 10 euro. Una massa di lavoratori e lavoratrici a basso costo, a disposizione di imprese pubbliche e private, soprattutto nelle costruzioni e nelle miniere. Settori in cui non mancano le aziende occidentali e crescono gli investimenti cinesi.
A novembre del 2018 le Nazioni Unite hanno revocato l’embargo contro l’Eritrea che durava dal 2009.
La risoluzione, adottata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza segue la normalizzazione dei rapporti tra Eritrea ed Etiopia, avvenuta attraverso la firma di due accordi di pace, tra luglio e settembre, che hanno posto fine allo stato di guerra tra i due Paesi, in vigore dal maggio 1998.
L‘Onu ha tuttavia deciso di mantenere l’embargo sulle armi e un bando sul carbone contro la Somalia, in quanto principali fonti di finanziamento per i jihadisti di al-Shabaab.
Il 2018 sarebbe stato un tempo di cambiamenti radicali nei rapporti tra Etiopia ed Eritrea. L'incredibile accordo è nato l'8 luglio del 2018 laddove è stata firmata una dichiarazione che pone fine allo 'stato di guerra' tra i due Paesi. A siglarla sono stati Abiy Ahmed, nuovo primo ministro etiope e il presidente eritreo, Isaias Afwerki.
Nonostante l'intesa con Asmara e la riapertura dei confini non c'è ancora aria di apparente normalizzazione. La fuga degli eritrei non si ancora arrestata.
Eritrea: una nazione che sta cambiando pelle. Le sue usanze, le sue tradizioni, le aspirazioni della sua società, la piu giovane in particolare, saranno la base per catturare un futuro migliore.
Ro19